" Non so quale effetto possa fare a chi guarda la politica oggi, riducendola e confondendola con l'azione dei partiti tra declino e ricerca di nuovo ruolo, la descrizione di quello che fu il mio (e ovviamente non solo il mio) approccio alla politica negli anni che vanno dal 1940 a quelli del dopoguerra, quando l'attività politica divenne impegno predominante se non esclusivo. L'effetto potrebbe essere di sorpresa o incredulità o sconcerto. Ma assicuro che in quella scelta c'è la spiegazione di tante cose che riguardano la vita degli individui, il loro modo d'intendere l'impegno sociale, la natura dei partiti, la stessa capacità di sopravvivere da parte di una debole democrazia.
Come giungevamo all'impatto con la liberazione, la politica, il partito? Avevamo già fatto alcune letture, conoscevamo qualcosa di Mazzini, di Marx, di Croce, avevamo ascoltato le conferenze dei maggiori studiosi antifascisti italiani all'Istituto di studi filosofici, promosso da Capitini, Montesperelli, Granata, Manacorda. Tutto ciò, anche se poco, ci dava un discreto vantaggio su tutti quei giovani che uscivano dal ventennio della dittatura e della guerra sprovvisti di una qualche formazione critica "